DDLZAN l'ostruzionismo della lega
DDLZAN l'ostruzionismo della lega

La Lega propone 170 audizioni per discutere il #ddlZan in commissione Giustizia al Senato, ci vorranno 17 settimane, cioè circa 4 mesi. Una certa politica italiana evidentemente si diverte a dare i numeri, continuando a calpestare la dignità delle persone e ad aumentare l’incomprensibile ritardo dell’Italia rispetto al resto dell’Unione Europea. Se rallentare leggi di equità rientra tra le cose più urgenti da fare, il futuro del nostro Paese è in mani sicure e competenti!
L’ostruzionismo della Lega e i vari sipari politici con contorno di bufale ai limiti della decenza e della democrazia, cui abbiamo assistito negli ultimi 6 mesi, evidentemente non bastano a descrivere il modus operandi e la prepotenza che trova spazio nelle aule del nostro Parlamento.
A fine aprile era stata finalmente calendarizzata in Commissione Giustizia al Senato la proposta di legge contro #omolesbobitransfobia, #misoginia e #abilismo, e il presidente della Commissione, il leghista Ostellari, si era autonominato relatore. Il 6 maggio, dopo giorni di dibattiti e mezzucci per rimandare le audizioni, la maggioranza è riuscita a far calendarizzare il solo testo approvato alla Camera nel novembre 2020, escludendo i testi aggiuntivi proposti da altre forze politiche.
Tuttavia, il 18 maggio, scavalcando la suddetta votazione e incurante del fatto che un ramo del parlamento abbia già approvato il testo della legge (rivelando le frizioni del bicameralismo italiano), il presidente Ostellari ha deciso di accorpare il testo al ddl Ronzulli-Salvini di Forza Italia e Lega - testo che la votazione del 6 maggio aveva escluso.
In effetti, per tenere le fila di una politica incoerente e prepotente si finisce per dare i numeri: ma in questo caso è necessario, dal momento che l’iter del ddl è manipolato dalla Lega e consegna la discussione del testo ad una dubbia arena di 4 mesi.
Guardando i nomi inseriti nelle 170 audizioni previste, troviamo esponenti della politica, dell’associazionismo anti-LGBTIAQ+ italiano e altre personalità che si sono contraddistinte per le proprie posizioni, lontane dalla rappresentanza del Paese reale o che riproducono visioni del mondo lontane dai principi del diritto internazionale e delle evidenze scientifiche in materia di equità e riconoscimento delle differenze. Presentiamone alcuni:
Marina Terragni, giornalista e autrice del libro “La scomparsa delle donne: maschile, femminile e altre cose del genere”, si fa portatrice di quel femminismo che vorrebbe togliere dal ddl Zan l’espressione “identità di genere”. Questa è la stessa istanza cui si sono aperti esponenti del “fronte progressista italiano”, tra cui Carlo Calenda (Azione). Peccato che l’espressione “identità di genere” trovi conferme nelle sentenze della Corte di Cassazione e nelle ricerche scientifiche riconosciute a livello internazionale, dalla medicina alla psicologia e alla filosofia. In questo modo si manifesta la totale ignoranza di una certa politica sugli studi di genere, eredi di un pensiero femminista intersezionale lontano dalle istanze della Terragni. Inoltre, si aggancia un dibattito, di chi nega ancora l’evidenza scientifica dell’identità di genere, alla discussione su una legge che riguarda la prevenzione e punizione delle violenze (diciamolo, un tentativo di visibilità in politica perché a livello scientifico rappresentano un’area conservatrice che non ha più spendibilità accademica).
Il secondo nome è quello di un - scriviamolo tra virgolette - “filosofo”, ex professore di Estetica dell’Università di Milano, Stefano Zecchi. La presenza di una personalità del mondo filosofico dovrebbe rassicurare, eppure, il professor Zecchi è stato autore di una pericolosa e disonesta libera interpretazione del ddl Zan, durante un dibattito con Vladimir Luxuria a Quarta Repubblica, lo scorso 4 maggio. A detta del professore, il ddl Zan definisce liberamente, contro la biologia, che cosa sia la sessualità, aprendo le strade alla pedofilia: «Quando si stabilisce la definizione di ciò che è sessualità, allora un pedofilo ha diritto di dire cos’è la sua sessualità». Peccato che, anche in questo caso, non venga considerato l’ampio contesto in cui si inserisce il testo della legge e, cioè, la coerenza degli studi di genere e delle politiche internazionali in cui sesso, genere e orientamento sessuale, non sono “ideologiche” interpretazioni della natura umana che contraddicono la biologia. Il ddl Zan non “stabilisce cos’è la sessualità secondo le proprie iniziative“, come ha dichiarato Zecchi. Esiste anche la biologia di genere e molti dipartimenti di Estetica nel mondo si stanno aggiornando e aprendo agli studi sulla personalità e l’identità, tra cui rientrano gli studi sulla sessualità e l’identità di genere. Chissà se il professore è caduto nella terribile fake news della pedofilia per una mancanza di aggiornamento post-pensionamento o fa parte di quel gruppo di persone che, a danno dell’informazione pubblica, collegano i diritti LGBTIAQ+ allo sdoganamento della pedofilia (stessa fake news sostenuta da Vittorio Sgarbi). È fondamentale che la politica si connetta con la filosofia, ma - come ha ben detto Hannah Arendt - «la coerenza è l’obbligo principale di un filosofo»: se questa è la filosofia che si porta in audizione al Parlamento, abbiamo un problema ben più radicale in Italia!
Il terzo nome ci porta dallo Stato di Diritto Laico all’inclusione delle realtà religiose nelle audizioni parlamentari: tutto in linea con il pluralismo democratico, se non fosse che tra le personalità chiamate in Commissione spuntano esponenti di aree religiose estremiste e contrarie alle politiche internazionali in materia di diritti LGBTIAQ+ e parità di genere, nonché dedite alla protezione della “natura umana” e della “famiglia tradizionale” (o cristiana) contro le “degenerazioni moderne”. Massimo Gandolfini svetta fra i tanti, il medico che continua a definire “malattia” l’omosessualità e che si fa portavoce di associazioni - come Pro Vita - che rivendicano la loro libertà di poter dire che la famiglia omogenitoriale sia abominio, che la donna per essere donna debba concepire figli e che il “gender” nelle scuole vuole confondere i bambini e le bambine facendoli vestire di rosa e di azzurro. Chissà cosa avrà da dire sul ddl Zan un esponente del genere.
È chiaro che nella proposta di queste 170 audizioni non ci sia solo il tentativo di ritardare la votazione del DDL Zan, ma anche la palese volontà di snaturare il testo della legge accogliendo istanze che non rappresentano affatto la comunità LGBTIAQ+ e le donne che vivono in Italia, né le persone con disabilità, essendo un tema oscurato nel dibattito. Il nemico palese da voler distruggere è il riconoscimento delle persone LGBTIAQ+ e la responsabilità educative della politica.
Inutile dire di essere a favore dei diritti a parole, quando le azioni sono evidentemente contrarie alle politiche dell’Unione Europea e al diritto internazionale in materia di promozione dell’equità e di prevenzione delle discriminazioni. Il ddl Zan torna ad essere divisivo, tra chi vuole un Paese civile e progressista e coloro che, pur di tenere ferme le lancette della storia, vorranno dare briciole spacciandole per riforme.
Queste inutili audizioni ci confermano che per prevenire le discriminazioni e le ingiustizie non basta creare nuove aggravanti nei reati, ma intervenire culturalmente e a livello educativo. La vera battaglia che si sta conducendo sul ddl Zan è quella tra le politiche educative internazionali sui diritti umani e una mentalità conservatrice italiana lontana dal pluralismo e dal Paese reale.
Nel Parlamento italiano si palesa una incoerente coerenza: alcuni partiti rappresentano una mentalità diffusa nel nostro Paese, quella che alimenta disinformazione e prepotenza, una ricetta capace di tenere il destino dei diritti civili del nostro Paese in mano a logiche che non apriranno mai al pluralismo e alle politiche internazionali in materia educativa, se non ipocritamente, e che, di conseguenza, faranno tutto ciò che è in loro potere per frenare la costruzione di uno Stato civile e davvero inclusivo.
#FuturoMadeInEurope
#PerUnEuropaDeiDiritti
#NonUnPassoIndietro
Fonti